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Papà - Albania - Primo diario di guerra

Mio padre mi dava poche notizie sulla guerra in Albania, solo brevi flash, velocemente, ricordava i nomi di qualche comandante, della città o della località raggiunte, i primi scontri armati, i feriti, i congedati, i morti, il 232° Reggimento Fanteria...

 

Albania, primo diario di guerra
 

Mio padre mi dava poche notizie sulla guerra in Albania, solo brevi flash, velocemente, ricordava i nomi di qualche comandante, della città o della località raggiunte, i primi scontri armati, i feriti, i congedati, i morti, il 232° Reggimento Fanteria, cui lui apparteneva, la risalita della valle di Bence. "Eccomi a Bence, scriveva col lapis, sul suo diario, un foglio di carta che serviva per avvolgere il pane, poche case di pietra tra il torrente e la scarpata, ormai tutte disabitate. All'ombra di un cipresso vidi otto o dieci croci, improvvisate, con il legno verde delle casse delle munizioni: i primi nostri caduti, quelli del mio reggimento, sorpresi forse dal nemico quel maledetto 31 dicembre mentre si raggiungevano le linee... ci sarei potuto essere anch'io...". Mi sottolineava l'inesperienza dei suoi comandanti, la pochezza degli armamenti a disposizione, il freddo, i pidocchi e quel clima complessivo di guerra che ricordava per molti aspetti quello della Prima Guerra Mondiale. Si marciava sempre e per luoghi ignoti e mi ricordava quando, arrivati in una valle verde, valle Saliari, piena di pascoli, piccole abetaie, qualche faggio tale da ricordargli la campagna della Madonna della Vittoria, quella da dove se ne era partito volontario a 17 anni per poter mangiare 3 volte al giorno, prima che la Seconda Guerra Mondiale

   

A sinistra di ogni foto, Nicola, il mio babbo,  a destra un paio di suoi commilitoni

 

scoppiasse, durante il suo periodo di ferma. Solo una lontana somiglianza bada bene, mi diceva, il sentiero passava spesso accanto ad un cimitero di guerra. Sopra il cancello c'era una grande scritta:"Ritorneremo". Poi mi raccontò, che di lì a qualche giorno di marcia, arrivarono in una valle che battezzarono subito "il vallone dei muli morti" a causa delle molte carogne di mulo mezzo putrefatte che ne ammorbavano l'aria, sempre con la paura che da un momento all'altro sarebbe potuto venire l'ordine di un attacco. Si accampavano e ripartivano rosicchiando pezzi di vecchie pagnotte di pane, mentre correva dall'uno all'altro, borracce con un po' di anice, discorrendo sottovoce di cose lontane per evitare di pensare agli eventi bellici imminenti. Poi più niente, finché l'8 giugno del '41 avvenne il trasferimento in Grecia, dove i Panzer tedeschi, venuti come al solito, in soccorso delle truppe italiane, erano nel frattempo, riusciti a vincere la resistenza greca sostenuta dagli inglesi. Si ricordava di quella marcia di 70 chilometri, fatta con 2 tappe, per arrivare a Atene stravolti dalla fatica. Qui il racconto si faceva confuso, mi ripeteva che gli scontri dei partigiani con i carri armati tedeschi erano frequenti, che questi lottavano ferocemente per aiutare la popolazione locale. Agguati che lasciavano a terra diversi soldati italiani, a cui seguivano rappresaglie durissime, la logica della guerra non risparmiava quell'angolo di Grecia....

  

Nicola , in due momenti di quiete, quando non si doveva marciare

 

 

 

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