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Sono diventato un uomo |
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Questa è la piazzetta prima del Pozzo dove si "curvava", a destra una mia foto di allora
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Il mio turno non
viene mai
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"Noi apparteniamo a una generazione che ha avuto la fortuna di veder messi in discussione tutti i valori del mondo"... soleva ripetere Mario Faieta. Sembrerà, a riferirla, una frase grossa, una frase fatta. Ma allora, e in bocca a lui, per noi non lo era. Mario aveva creato un gruppo di lavoro dopo scolastico, che su progetto di Di Medio era adibito alla costruzione di una barca in vetroresina, aveva per noi la decisione e il prestigio d’un capo. Ma anche gli altri amici del nostro gruppo non erano da meno. Ammiravo la loro energia e il loro bisogno di non sentirsi soli. Si aveva l’impressione che quel che pensavano non avrebbe avuto, per essi, alcun valore, se non avessero potuto condividerlo con gli altri. E a me tutto ciò suonava nuovo, io che ne ero stato sempre geloso e avevo sempre ritenuto che la cultura fosse un acquisto e un privilegio individuale. Si aveva anche l’impressione che non avrebbero saputo che farsene, se non l’avessero considerato una premessa alla lotta e una guida alla scelta dei mezzi. E anche questo mi suonava nuovo, io che avevo sempre creduto che le idee fossero fatte unicamente per ragionarci. Scoprirli, rendermi conto del loro modo di pensare fu un po’ la mia grande evasione, l’unica realmente possibile a un temperamento come il mio, con una preparazione come la mia e la mia tendenza a trasformare in cultura tutto ciò che mi veniva dall’esperienza. Era ciò, soprattutto, che i miei amici mi rimproveravano: a loro accadeva il contrario. E questo mi sorprendeva. C’era all’incirca, tra me e loro, la differenza che passa tra chi vuol solo capire e chi vuol solo convincere. C’era in me l’orrore del perentorio, il gusto delle sfumature, in loro il semplicismo e l'esclusivismo degli autodidatti. Tanto più, al cospetto della loro, la mia logica era priva di mordente. Ma m’ostinavo e discutevo. Li cercavo per discutere, stavamo insieme per ore a conversare e contrastare: in un caffè, in
un’osteria, sulla spalletta d’un ponte, camminando incessantemente lungo il corso Marruccino, giù giù fino al laghetto col Tritone, nella villa Comunale a Chieti, su e giù senza mai fermarci per ore e ore senza accorgerci che il tempo passava.. Al caffè, se alzavamo appena un po’ la voce, ci guardavano con sospetto. Ne ridevamo, senza malizia, nella gioia di bastare a noi stessi. Nelle osterie sedevamo in compagnia degli operai. M’accorgevo di non riuscire a parlare il loro linguaggio, anche se io ero figlio di uno di loro, e questo fatto m’intimidiva e in pari tempo m’inebriava come se m’avventurassi in regioni inesplorate. Ricordo ancora con una stretta certe notti d’estate trascorse passeggiando e chiacchierando senza mai stancarci lungo la strada di circonvallazione, coi tetti della città pieni di luna e il Gran Sasso sospeso in una luce azzurrognola. Dalla città, a quell’ora, non veniva una sola voce. Si distinguevano le luci della valle della Pescara su su fino alla Brecciarola e tendendo l'orecchio si sentiva lo sferragliare del treno ad una distanza di chilometri rimbombante nella valle o lo sgocciolio della fontanella dove scendevamo quando avevamo sete, il rumore sordo del mulino di Femminella , quello basso e pulsante delle trebbie che continuavano il lavoro sulle aie, e dappertutto, in distanza, disperso, l’abbaiare dei cani. Io discutevo ed ero felice. Ero felice avevo 15 anni.
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Questo sono immagini, anni sessanta, del laghetto in fondo alla villa comunale
A 18 anni mi sono e a settembre partivo per Milano in cerca di un lavoro. L'esame di stato, come lo si chiamava allora, è stato l'ultimo periodo spensierato e felice, ma allora non lo sapevo. Il 6 agosto del 1966 ho dato i miei orali con risultati eccellenti. Mi sono diplomato, nonostante Monaco fosse nella commissione esaminatrice deciso a fare una strage, con la media dell'otto e allora si portavano tutte le materie agli esami. Lo stesso mese, partivo per Milano in cerca di un lavoro. Ricordo che arrivai alla Stazione Centrale, quella ricoperta con una grande struttura metallica il 22 di sera e mi venne a prendere uno zio, fratello maggiore di mia madre che mi tenne in casa sua per alcuni giorni intanto che mi fossi trovato un lavoro. Di giorno andavo in giro per le fabbriche di , questo era il nome del paese in cui ero approdato, e dopo varie peripezie approdai alla Mebel. Accettai subito perchè le grosse ditte non assumevano se non avevi fatto il servizio militare, allora durava 15 mesi. Accettai così mi sarei fatto un'esperienza di lavoro ( facevo
tre turni: dalle 6 alle 14, dalle 14 alle 22 e dalle 22 alle 6 di mattina ), avrei guadagnato dei soldi che mi sarebbero serviti per mantenermi e per metterli da parte, alla Posta, per poterli poi utilizzare durante il servizio ( allora la decade era circa 1500£ e spesso la si spendeva per piccoli aggiustamenti all'interno della caserma stessa). Nel 1969, dopo il militare sono ritornato su e in giugno venni assunto in una industria farmaceutica in qualità di analista chimico. Le cose con questo impiego incominciarono ad andare benino, cosi che mi fidanzai e decisi d'accordo con la mia anima gemella di sposarci e rimanere a vivere a Brugherio. Nel 1971 mi sono sposato e l'anno dopo mi sono comperato il mio primo Computer. Niente di fenomenale, un semplice quello scatolotto per intendereci, con i tastini di gomma che sir Clive Sinclair aveva esportato dall'Inghilterra fino in Italia. Poi sono passato a computer più seri, oggi ho un Pentium 4 con un HD da 100Giga e un masterizzatore per Cd. Di tempo ne è passato tanto siamo già nel 2000 e in Italia non si usano più le lire ma gli Euro da un bel pò e molti fanno ancora fatica ad adattarsi alla nuova pecunia. Mi collego spesso in Internet e il Pc sta
diventando più che uno strumento di lavoro un passatempo serale. Ho un amore virtuale. Si chiama Donatella e comunico con lei tramite il mio computer. Il primo appuntamento è alle 6:30 di mattina. Lo schermo si illumina e trovo il suo primo messaggio.Poche parole prima che io e lei andiamo al lavoro, mentre outlook scarica la posta dal web. Lei lavora in un museo, io in un laboratorio d'analisi di un'industria farmaceutica quì a Milano. Non conosco il vero nome di Donatella e non so' neanche se sia bionda o mora e di che colore abbia gli occhi. Oggi mi ha scritto "Prendi un lungo respiro... e pensa... ti amo. Donatella". Io ho seguito il suo consiglio e ho cominciato la giornata con un sorriso sulle labbra. Oggi Donatella mi ha proposto di incontrarci a Iseo durante le vacanze di Natale, per conoscerci personalmente, ma io non sono sicuro che sia una buona idea. Non le ho risposto ne sì e ne no, ho semplicemente copiato sul computer una frase di Nietzsche "Abbiamo tolto di mezzo il mondo vero. Quale mondo ci è rimasto? Forse quello apparente? Ma no! Con il mondo vero abbiamo eliminato anche quello apparente."Cosa vuol dire?... mi ha chiesto lei. Non lo so ma non vorrei che spegnendo il computer, ci accorgessimo entrambi di non esistere..... Son passati altri due anni e il mio amore virtuale è diventato reale e adesso i miei fine settimana io li passo da lei... lei già incomincia a parlare di matrimonio!....
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