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AMARCORD ENIO HOME PAGE MAMMA GINA Il Diploma

 

Sono diventato un uomo

Gli anni sono poi passati e sono diventato un uomo, frequento L' I T I S     " Luigi di Savoia " a Chieti e ho due inseparabili amici : Faieta Mario e Di Medio Gianfranco, due menti eccelse che ben si amalgamo col mio spirito ribelle .

 

Questa è la piazzetta prima del Pozzo dove si "curvava", a destra una mia foto di allora

 

Il mio turno non viene mai
Da bambino non potevo fare niente. Quando si andava a mangiare dai parenti, prima di uscire di casa puntualmente mia mamma si trasformava in Mosè e tirava fuori le tavole della legge (Rutelli e la Margherita sono arrivati dopo): «Non rubare i soprammobili», «Dai la mano a tutti», «A tavola non parlare» eccetera. Per tutto il giorno i «grandi» chiacchieravano tra loro mentre io ero pura presenza fisica, a volte catarifrangente (per via delle guance fluorescenti dagli sganasciotti di chiunque mi passava davanti). Anche sugli autobus essere bimbo era duro. «Lascia sedere la signora che è anziana, ha già 30 anni». «Alzati e fai sedere il signore che ha le gambe molli...». Ricordo che guardavo i «grandi» e pensavo: verrà anche il mio momento! Purtroppo però tra il tempo in cui ero bimbo io e quello in cui sono cresciuto c'è stata una catastrofe. Psicologi, pedagoghi, e terapeuti dell'infanzia si sono scatenati. Hanno dato libero corso alle loro paranoie ed esperimenti innovativi, ed hanno capovolto la realtà. Morale, al giorno d'oggi - che toccherebbe a me! - sono i bambini a comandare. Sull'autobus devo far sedere i teppisti e tenermi il mal di schiena, altrimenti rischio di avere male a tutte le ossa. Se fai il ganassino ad un bimbo, gli adulti circostanti ti fissano facendo gli indifferenti in attesa che lo tocchi una seconda volta per incastrarti definitivamente in quanto pedofilo. L'ultima volta che ho zittito un bimbo al cinema, i suoi i genitori hanno iniziato a fare più casino di lui. Ma in che mondo siamo finiti? Checché ne dicano psicologi e sociologi io non ho subìto traumi per il fatto che mi dicevano di star zitto, e ai miei tempi (ah, l'ho detto!) nessuno si suicidava per un voto basso a scuola. Quando vedo genitori che cercano di spiegare ad un bimbo di due anni la motivazione metafisica per cui non deve sputare agli altri bambini, mi viene tristezza. Perché alcune spiegazioni sono molto più incomprensibili di una bella «pappina» di rovescio alla John Mc Enroe. Impariamo a trattare i bambini come tali, a non idolatrarli per ogni fesseria che dicono (l'autostima è ok, la megalomania genera mostri, basta guardare i telegiornali). Facciamo capire ai giovani che per dire al mondo qualcosa di nuovo e intelligente ci vuole tempo e impegno e fatica.

 

"Noi apparteniamo a una generazione che ha avuto la fortuna di veder messi in discussione tutti i valori del mondo"... soleva ripetere Mario Faieta. Sembrerà, a riferirla, una frase grossa, una frase fatta. Ma allora, e in bocca a lui, per noi non lo era. Mario aveva creato un gruppo di lavoro dopo scolastico, che su progetto di Di Medio era adibito alla  costruzione di una barca in vetroresina, aveva per noi  la decisione e il prestigio d’un capo. Ma anche gli altri amici del nostro gruppo non erano da meno. Ammiravo la loro energia e il loro bisogno di non sentirsi soli. Si aveva l’impressione che quel che pensavano non avrebbe avuto, per essi, alcun valore, se non avessero potuto condividerlo con gli altri. E a me tutto ciò suonava nuovo, io che ne ero stato sempre geloso e avevo sempre ritenuto che la cultura fosse un acquisto e un privilegio individuale. Si aveva anche l’impressione che non avrebbero saputo che farsene, se non l’avessero considerato una premessa alla lotta e una guida alla scelta dei mezzi. E anche questo mi suonava nuovo, io che avevo sempre creduto che le idee fossero fatte unicamente per ragionarci. Scoprirli, rendermi conto del loro modo di pensare fu un po’ la mia grande evasione, l’unica realmente possibile a un temperamento come il mio, con una preparazione come la mia e la mia tendenza a trasformare in cultura tutto ciò che mi veniva dall’esperienza. Era ciò, soprattutto, che i miei amici mi rimproveravano: a loro accadeva il contrario. E questo mi sorprendeva. C’era all’incirca, tra me e loro, la differenza che passa tra chi vuol solo capire e chi vuol solo convincere. C’era in me l’orrore del perentorio, il gusto delle sfumature, in loro il semplicismo e l'esclusivismo degli autodidatti. Tanto più, al cospetto della loro, la mia logica era priva di mordente. Ma m’ostinavo e discutevo. Li cercavo per discutere, stavamo insieme per ore a conversare e contrastare: in un caffè, in

 

 

un’osteria, sulla spalletta d’un ponte, camminando incessantemente lungo il corso Marruccino, giù giù fino al laghetto col Tritone, nella villa Comunale a Chieti, su e giù senza mai fermarci per ore e ore senza accorgerci che il tempo passava.. Al caffè, se alzavamo appena un po’ la voce, ci guardavano con sospetto. Ne ridevamo, senza malizia, nella gioia di bastare a noi stessi. Nelle osterie sedevamo in compagnia degli operai. M’accorgevo di non riuscire a parlare il loro linguaggio, anche se io ero figlio di uno di loro, e questo fatto m’intimidiva e in pari tempo m’inebriava come se m’avventurassi in regioni inesplorate. Ricordo ancora con una stretta certe notti d’estate trascorse passeggiando e chiacchierando senza mai stancarci lungo la strada di circonvallazione, coi tetti della città pieni di luna e il Gran Sasso sospeso in una luce azzurrognola. Dalla città, a quell’ora, non veniva una sola voce. Si distinguevano le luci della valle della Pescara su su fino alla Brecciarola e tendendo l'orecchio si sentiva lo sferragliare del treno ad una distanza di chilometri rimbombante nella valle o lo sgocciolio della fontanella dove scendevamo quando avevamo sete, il rumore sordo del mulino di Femminella , quello basso e pulsante delle trebbie che continuavano il lavoro sulle aie, e dappertutto, in distanza, disperso, l’abbaiare dei cani. Io discutevo ed ero felice. Ero felice avevo 15 anni.

 

  

Questo sono immagini, anni sessanta, del  laghetto in fondo alla villa comunale

 

Ce ne accorgevamo quasi senza volerlo, acquattati sulla spiaggia all’ultimo solicello di agosto che le giornate erano più corte più tristi, più sfocate. Gli ultimi giorni di vacanza, una fucilata nel fondoschiena da far crollare un mulo, ma tant’è si doveva ritornare. Ritrovarsi in città, o fra le quattro mura del paese, per contare i giorni che ci separavano dalla scuola. le ore che ci mantenevano ancora lontani da quelle mura grigie, i minuti che ci salvavano dalla maledetta campana, i secondi che tenevano a freno il fiato caldo dei bidelli sul collo, I centesimi che ci ponevano ancora fuori tiro dalle verifiche programmate. Annaspare per ore dietro a un sogno che muore, lentamente di asfissia, per entrare di nuovo nell’incubo d’autunno. Scrutare il calendario del gommista appeso al chiodo sul muro della cucina, boccheggiare e capire, in un triplo cognac che c’è poco da fare. E poi, quella mattina livida e spietata, srotolare giù da letto con la bocca impastata, infilarsi dentro al cesso con la morte nel cuore, trascinarci alla fermata del filobus col biglietto scaduto guardar fisso negli occhi un vecchietto assonnato, rimbalzare tra i pivelli che ridacchiano invano, atterrare malamente di muso, proprio sotto al portone già mezzo chiuso. Che fare? Il fattibiie è dunque, ritrovare gli stessi amici, le menate di sempre i sorrisi, le faccende di cuore che vanno a pallino. Il professore di Chimica Fisica, Sanità Di Toppe, che incomincia a spiegare le sue Derivate Parziali e a dettare pagine e pagine di quaderno dicendoti subito che eravamo già indietro col programma e d’incanto, per nulla storditi, smoccolare di brutto e far finta di essere vivi. Questo ci capitava ogni anno per cinque anni, quelli necessari per prendersi il diploma di Perito Chimico Industriale Capo Chimico all'ITIS Luigi Di Savoia di Chieti.

3° annoAnalisi Volumetrica

 

A 18 anni mi sono DIPLOMATO e a settembre partivo per Milano in cerca di un lavoro. L'esame di stato, come lo si chiamava allora, è stato l'ultimo periodo spensierato e felice, ma allora non lo sapevo. Il 6 agosto del 1966 ho dato i miei orali con risultati eccellenti. Mi sono diplomato, nonostante Monaco fosse nella commissione esaminatrice deciso a fare una strage, con la media dell'otto e allora si portavano tutte le materie agli esami. Lo stesso mese, partivo per Milano in cerca di un lavoro. Ricordo che arrivai alla Stazione Centrale, quella ricoperta con una grande struttura metallica il 22 di sera e mi venne a prendere uno zio, fratello maggiore di mia madre che mi tenne in casa sua per alcuni giorni intanto che mi fossi trovato un lavoro. Di giorno andavo in giro per le fabbriche di BRUGHERIO, questo era il nome del paese in cui ero approdato, e dopo varie peripezie approdai alla Mebel. Accettai subito perchè le grosse ditte non assumevano se non avevi fatto il servizio militare, allora durava 15 mesi. Accettai così mi sarei fatto un'esperienza di lavoro ( facevo

tre turni: dalle 6 alle 14, dalle 14 alle 22 e dalle 22 alle 6 di mattina ), avrei guadagnato dei soldi che mi sarebbero serviti per mantenermi e per metterli da parte, alla Posta, per poterli poi utilizzare durante il servizio MILITARE ( allora la decade era circa 1500£ e spesso la si spendeva per piccoli aggiustamenti all'interno della caserma stessa). Nel 1969, dopo il militare sono ritornato su e in giugno venni assunto in una industria farmaceutica in qualità di analista chimico. Le cose con questo impiego incominciarono ad andare benino, cosi che mi fidanzai e decisi d'accordo con la mia anima gemella di sposarci e rimanere a vivere a Brugherio.  Nel 1971 mi sono sposato e l'anno dopo mi sono comperato il mio primo Computer. Niente di fenomenale, un semplice ZX SPECTRUM 48 K quello scatolotto per intendereci, con i tastini di gomma che sir Clive Sinclair aveva esportato dall'Inghilterra fino in Italia. Poi sono passato a computer più seri, oggi ho un Pentium 4 con un HD da 100Giga e un masterizzatore per Cd. Di tempo ne è passato tanto siamo già nel 2000 e in Italia non si usano più le lire ma gli Euro da un bel pò e molti fanno ancora fatica ad adattarsi alla nuova pecunia. Mi collego spesso in Internet e il Pc sta

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diventando più che uno strumento di lavoro un passatempo serale. Ho un amore virtuale. Si chiama Donatella e comunico con lei tramite il mio computer. Il primo appuntamento è alle 6:30 di mattina. Lo schermo si illumina e trovo il suo primo messaggio.Poche parole prima che io e lei andiamo al lavoro, mentre outlook scarica la posta dal web. Lei lavora in un museo, io in un laboratorio d'analisi di un'industria farmaceutica quì a Milano. Non conosco il vero nome di Donatella e non so' neanche se sia bionda o mora e di che colore abbia gli occhi. Oggi mi ha scritto "Prendi un lungo respiro... e pensa... ti amo. Donatella". Io ho seguito il suo consiglio e ho cominciato la giornata con un sorriso sulle labbra. Oggi Donatella mi ha proposto di incontrarci a Iseo durante le vacanze di Natale, per conoscerci personalmente, ma io non sono sicuro che sia una buona idea. Non le ho risposto ne sì e ne no, ho semplicemente copiato sul computer una frase di Nietzsche "Abbiamo tolto di mezzo il mondo vero. Quale mondo ci è rimasto? Forse quello apparente? Ma no! Con il mondo vero abbiamo eliminato anche quello apparente."Cosa vuol dire?... mi ha chiesto lei. Non lo so ma non vorrei che spegnendo il computer, ci accorgessimo entrambi di non esistere..... Son passati altri due anni e il mio amore virtuale è diventato reale e adesso i miei fine settimana io li passo da lei... lei già incomincia a parlare di matrimonio!....

PICCOLA GRANDE STORIA D'AMORE


Sono un uomo di 72 anni e forse sono giunto alla sera della vita. Ecco, proprio in questi momenti ti domandi, senza fare bilanci, se i talenti che il Signore ti ha dato li hai saputi far fruttare. Se hai seminato grano o gramigna e in quale terreno. Se quel grano lo hai saputo raccogliere oppure è stato lasciato seccare al sole. Mille sono gli interrogativi ai quali non puoi dare una risposta, che si affollano alla mente senza lasciarti la possibilità di far fare sciopero al pensiero. Poi un giorno trovi un libro, una copertina letta in fretta tra la gente che ti spinge per gli ultimi acquisti di Natale e neppure si accorge di te. Una frase ti colpisce: " Ci sono giorni pieni di vento, ci sono giorni pieni di rabbia, ci sono giorni pieni di lacrime e poi ci sono giorni pieni d'amore che ti danno il coraggio di andare avanti per tutti gli altri giorni". La mia come quella di tanti, non è stata una strada facile, ma piuttosto un viottolo ripido, pieno di sassi, comunque l'ho percorso. Non ho messo la mia vita in valigia, né me la sono fatta scivolare addosso; ho sbagliato nelle scelte ma pagando sempre di persona. Di questi anni ho poco da dire, c'è solo una piccola grande storia d'amore che vi vorrei raccontare. E' breve ma immensa. Bella e struggente. E' un brandello della mia semplice esistenza, per me e per un'altra persona, importantissima. Donatella 3 ottobre 2020

 

 

 

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