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24 novembre 2017 - Oggi compio 70 anni | ||
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Oggi ho fatto 70 anni. Com'è un urlo disperato? O si dice lamento disperato? Ditemelo! Per favore. Che sia urlo o lamento, vorrei esternare la mia disperazione. Non importa come si faccia, ma la disperazione è tale da togliermi il fiato. Che fare? Ridicolmente vorrei ruggire e spaventare la gente. Ma oggi non c'è nessuno in giro. E’ una giornata calda e umida che ha messo tutti in fuga come durante una calamità. Chi rimane, come me, viene guardato con ammirazione. Resiste, dicono. E i miei ruggiti non spaventano nessuno. Stancamente cammino in cerca di sollievo, ma non per il caldo. Mi opprimono i miei pensieri, oggi compio 70 anni, mi opprime la mia vita, mi opprimono le mie non decisioni. M'opprime il pensiero del tempo passato così velocemente. M'opprimono i miei sbagli. Mi ci trovai davanti senza accorgermene. Un vecchio edificio nel centro città dove avevo passato la mia giovinezza. Ecco il sollievo, forse, il passato. Caseggiato grigio, portone d'accesso enorme, pesante. Quanta fatica facevo ad aprirlo. Ricordo che mia figlia Alessandra, piccoletta, doveva attaccarsi con le due mani alla maniglia e spingere con tutte le sue forze. Risento la voce di mia moglie che le gridava "Ferma, apro io". L'osservo dall'esterno. Come allora è grigio, sporco, impolverato. Entro ed osservo il portone che si chiude alle mie spalle. È fresco all'interno, come in tutte le case vecchie. Mi guardo attorno e non è cambiato nulla. Il vano scale è ridicolmente enorme. Le scale sono larghe ed il tutto è illuminato da un lucernario interno. Le ringhiere sono in ferro battuto, con disegni floreali, sdolcinati. I muri con ancora la pittura d'allora, a olio, di color banana, marcia. Una vecchia bicicletta è appoggiata al muro. È lì da sempre. Faccio quei pochi passi che mi dividono dal primo scalino e salgo lentamente, tornando indietro nel tempo; ricordando. Da qualche parte sento la canzone di Don Marino Barreto: abatjour, come allora.
Mi sento chiamare dall'altro lato della strada. Una voce femminile. Mi giro, ma il riflesso del sole mi impedisce di vedere chi sia. Attraverso incuriosito e la vedo. Lei, Donatella, la mia moglie attuale. Sul viso qualche rughettina, ma sempre bella. Mi guarda e mi sorride. Il mio urlo disperato. Il mio lamento. O almeno l'origine della mia oppressione sembra sparita. "Dove sei stato? Ti lascio per cinque minuti fuori da un negozio e sparisci. Ti ritrovo ad uscire dalla vecchia casa e mi guardi come se mi rivedessi dopo vent'anni." Diciassette, per l'esattezza. Vorrei urlare, ridere, saltare. M'avvicino a lei, la guardo, la bacio, la stringo, la bacio, l'abbraccio, la bacio ancora e lei è sempre più stupita. E ride. Le metto un braccio sulla spalla e le indico il portone: "In questa vecchia casa ho vissuto la mia giovinezza. Sono entrato per vedere com'era e… "
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