a Chieti
OTTOBRE, UN PO'
DI CALMA
Terminata la
vendemmia e messo il mosto dentro i tini, ci si poteva
concedere, si fa per dire, un pò di riposo dopo il duro
lavoro nei campi, durante tutta l'annata. Passato il mese di
ottobre, infatti, ben poche cose rimanevano da fare in
campagna, se non accumulare alcune scorte prima del gelido
inverno. Così si procedeva alla raccolta del granoturco, un
prodotto assai importante a quei tempi dato l'uso
giornaliero |
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della farina
gialla per la buona polenta, poi la raccolta delle foglie
per fare il letto agli animali e siccome noi non avevamo
tanti soldi per comperarci la lana o riutilizzare quella che
ottenevamo tosando le nostre pecore ( veniva venduta tutta )
ci riempivamo i sacconi che poi
utilizzavamo come materassi. Allora la lana le ragazze la
portavano in dote e con quella riempivano i due materassi
del letto matrimoniale. Ogni anno i materassi venivano
aperti, la lana lavata e scardata e poi i materassi venivano
riempiti e cuciti da |
mamma, pronti per
affrontare l'anno nuovo. Si procedeva al taglio della legna in
campagna per poter accenderla nel camino d'inverno e riscaldarsi
intorno al focolare. Appeso al camino, nero di fuliggine c'era una
catena con attaccata una callarella piena d'acqua per cuocere la
pasta. Oppure sopra lu trappite na tiella con le patate in cottura.
Mamma era una specialista in queste cose, non ci ha mai fatto
soffrire la fame, le patate venivano preparate da lei con molta,
molta fantasia. Le cucinava in brodetto, con sugo di pomodoro da
solo o con pezzi di baccalà, oppure ci calava dentro tre o quattro
uova e senza mischiare cuoceva il tutto. La ferzora ( tegame )
era sempre sul treppiedi sul focolare a bollire e noi, io e Diana ne
sentivamo l'odore e
ne gustavamo il sapore intingendovi tocchi di pane casereccio,
scaldandoci i piedi. Si i piedi, erano messi, senza scarpe a
scaldare, con grave pericolo, diceva mamma di beccarsi i geloni, dei
gonfiori rossastri che comparivano sulle dita facendole arrossare e
gonfiare e rendendo difficoltoso l'infilarsi le scarpe, allora si
doveva indossare solo pantofole. Dai e dai Diana si è rovesciato sui
piedi per ben due volte la ferzora con l'olio bollente sui piedi
procurandosi dei seri danni. Mi ricordo mamma, una autentica
crocerossina, per evitare che il piede le si spellasse o le
procurasse dolore, non avendo unguenti, ne medicine, perchè
costavano, usava grattare sul piede di mia sorella una patata cruda
e ricoprire la parte malata con una apposita carta velina per
evitare che le bende le si attaccassero al piede. E dai a ripetere
questa operazione tutti i giorni finche il piede non
guariva.
Nei mesi freddi
noi passavamo gran parte del nostro tempo nella stalla. Si
lavorava facendo scope per ramazzare i cortili o la casa con
la saggina che raccoglievamo dal nostro campo. Oppure si
facevano cesti o canestri intrecciando le canne tagliate con
i vimini, molto usati per il lavoro dei campi. Coloro che
avevano maggior ingegno si dedicavano alla falegnameria,
riparando recipienti di legno,oppure costruendo scale e
scalette a piuoli oppure preparando giocattoli in miniatura,
molto graditi da noi ragazzi. Io avevo avuto una trottola
che facevo girare incessantemente fino a consumarla.
Le donne invece
lavoravano a maglia, mamma era una maestra. Si vendeva la
lana tosata dalle nostre pecore e si comperavano le matasse
di lana grezza, lo riducevamo in gomitoli di varia grandezza
e li mettevamo nei cesti. Mamma con i suoi due ferri,
sferruzzava la notte per trasformare la lana in calzini,
maglie di sotto ( quanto pizzicavano ) e maglioni. In più
riusciva a fare delle calde coperte per il letto, impiegava
tempi lunghissimi e alcune volte una coperta richiedeva
quasi un anno di lavoro. La mia stalla era quasi la mia casa
nel mio tempo libero, dovevo accudire a sei o sette pecore
con relativi agnelli ( mai avute capre ) e a tre o quattro
maiali. La mattina alle cinque ( avevo sette otto anni ) la
sveglia suonava e io prima di andare a scuola le dovevo
portare a pascolare nel prato. Erano una ricchezza, da loro
ricavavamo, lana e latte per fare i formaggi, il famoso
pecorino. Ricordo quando portavo le pecore al fiume e le
si spingeva
dentro per farle lavare, il mantello da giallo, a causa
della lanolina, diventava bianco candido. Le si portava a
casa e ad una ad una , si legavano i quattro piedi con una
corda, le si adagiava per terra nell'aia e le si tosava del
mantello preziosissimo, con un forbicione, stando attenti a
non ferire l'animale. Nelle lunghe sere d'inverno io ero
solito trovarmi dopo le funzioni della sera, con i ragazzi e
le ragazze ( ricordo Jolanda di Panzanninte, la mia prima
fidanzatina, Nella, Justinella, Gino, Vittorio, Sandrino di
Tondo )in qualche famiglia per aiutare, se ne avevano
bisogno, a togliere le foglie dalle pannocchie del
granoturco. In queste serate le coppie, ( i morosi ) si
potevano avvicinare con prudenza, sempre sotto lo sguardo
attento dei vecchi, per le prime parole affettuose e qualche
carezza, arrossendo ad ogni sguardo estraneo.
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