a Chieti
La Trebbiatura
Lo
stridio insistente dei grilli e delle cicale, lo svolazzar delle farfalle
sopra le fontane segnalavano le lunghe calde giornate estive. Luglio era
considerato un mese massacrante per il lavoro nei campi, si stava financo
dieci dodici ore a lavorarci. Fienagione, mietitura,
irrorare le viti, non c'era respiro per noi lavoratori della
terra. Se tenete conto che mio padre era andato a lavorare
otto ore alla fornace, il lavoro di rifinitura ricadeva
sulle |
|
spalle di mia madre e mie.
A sette o
otto anni di ritorno dalla scuola io avevo il compito, di pulire e
dar da mangiare ai maiali, pulire a dar da mangiare alle galline e
portare a pascolare per almeno due ore le pecore. Mio padre tornava
alle cinque e si metteva a irrorare le viti con il verderame, su e
giù sotto i pergolati, con l'apposita macchina a stantuffo sulle
spalle. Un sabato e una domenica si procedeva alla mietitura. Allora
tutto il vicinato si raccoglieva sul nostro campo con il falcetto alla cintola, un fazzoletto legato in testa per ripararsi dal sole,
pronti ad aiutare nella mietitura. Si falciava il grano, si raccoglievano le
spighe in covoni che venivano trasportati nell'aia della casa,
ammonticchiati in attesa della venuta della trebbiatrice. Il giorno che
tutti i caseggiati avevano raccolto i covoni nell'aia, passava N'CiCCO di
ROCCHIO col trattore e la trebbiatrice. La piantavano al centro dell'aia e
attaccavano la grande cinghia motrice che dal trattore, tramite una grossa
ruota trasmetteva il movimento alla trebbia. Quel giorno per noi ragazzi era
festa grande. Tutti correvano nell'aia per vedere il grande spettacolo,poiche
di vero spettacolo si trattava. Decine e decine di covoni venivano buttati
nella tramoggia, carichi di gonfie spighe dorate, l'assordante rumore della
trebbia, il grano che scendeva nei sacchi di iuta riempiendoli in un baleno,
le balle di paglia che uscivano dal davanti della macchina infernale, pronte
per essere ammonticchiate e utilizzate d'inverno come letto pulito per gli
animali. Gli uomini invece erano sudati, continuavano instancabili a
infilare covoni nella trebbiatrice, dato che il dislivello era di un metro e
mezzo, quelli da basso infilavano il covone con un forcone e facendo leva su
un fianco lo lanciavano in alto a un'altro che lo brancava a volo sulla trebbiatrice, gli levava la fascetta con un coltello e lo infilava in
tramoggia. Questo si ripeteva per tutto il giorno finchè l'ultimo covone
non era stato trebbiato. Tutto questo dava emozione e gioia a noi ragazzi e
nello stesso
tempo un sano insegnamento di vita. La sera quando tutto era terminato, dopo cena
la gente usava trovarsi per chiacchierare, sedendosi sul poggiolo o in
terrazza. Gli anziani, con l'immancabile pipa tra le mani, si concedevano il
meritato riposo, mentre noi ragazzi ci rincorrevamo per l'aia a piedi nudi,
con secchi d'acqua per una doccia gratuita o ci tuffavamo nella fontana
dell'abbeveratoio delle mucche, guazzando come cani. Di solito c'era mio
padre che accendeva la radio, un Phonola con l'occhio magico, e alzava il
volume per sentire il comunicato ( il giornale radio ) o le canzoni di
Claudio Villa, standosene seduto sotto il portico al fresco. Dormire in
certe sere di afa era impossibile. Molti improvvisavano un giaciglio sul
poggiolo di casa o in terrazza aspettando che Giove pluvio si
decidesse a rinfrescare l'atmosfera con un bel acquazzone. Tanto era il
caldo e poca la pioggia, che si facevano preghiere e processioni nei campi,
per implorare il buon Dio, che ci mandasse un pò d'acqua
|
|
|