a Chieti
Amarcord
Lo
stressante ritmo della vita moderna consente assai
raramente di soffermarsi a fare una sia pur breve
ragguaglio sul tipo di vita monotona, ma abbastanza
serena, che i nostri padri e pure noi abbiamo toccato in
parte una volta. Sembra, adesso, come se quella vita e
quell'epoca in effetti non ci sia mai appartenuta, quasi
che risultino un frutto piuttosto idealizzato della
nostra
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fantasia o, al
più, della nostra memoria. Invece le cose
stanno proprio diversamente: noi davvero siamo stati un giorno dei
ragazzi di strada, per davvero abbiamo vissuto intensamente l'epoca
in cui automobili, TV e consumismo erano al di la da venire, quando
il passaggio di un traino per la strada, magari proceduto dal
frenetico abbaiare di un cane, era motivo di attenzione collettiva,
quando... la famiglia si ritrovava in casa di sera, attorno allo
stesso desco.
Anno
1947
Arrivo al mondo in una notte di novembre, il 24, in
casa, e la levatrice corre da mio padre a dargli la
notizia e pare che la sua felicità fu grande, avere un
figlio maschio, avere uno che avrebbe continuato la tua
razza e ti avrebbe accudito quando vecchio e stanco ti
saresti ritirato dalle fatiche dei campi. Pare abbia
gettato lontano la zappa urlando la sua contentezza. In
quei tempi la mia gente era formata prevalentemente di
contadini, che conducevano una vita semplice e ordinata
e quel sapersi accontentare li rendeva unici. Il
rispetto altrui era una prerogativa di quel mondo.
Questi valori umani e morali erano la vera ricchezza, la
vera forza di quella gente, che per lungo periodo
vissero con tanta dignità e serenità una vita dura,
fatta di tanti sacrifici, privazioni e sopportazioni, un
cammino duro prima di giungere alla meta. Molto profondi
erano certi valori morali e umani: l'amicizia, l'aiuto
reciproco, il rispetto altrui. Certe tradizioni venivano
tramandate di padre in figlio, come nei riti religiosi,
le feste padronali, il carnevale, il coro nella
parrocchia. Profondo era il rispetto per le persone
anziane ( zì Uggenio, zì Silvino...) le quali non
conoscevano la via del ricovero per vecchi ( era un
profondo disonore per chi lo usava, figli debosciati,
buoni a niente...) visto che rimanevano in famiglia con
i figli, cognati, cognate, nipoti e pronipoti, fino alla
fine dei loro giorni. Così fu per la mamma adottiva del
mio papà Nacci Leontina, una donna che aveva visto quasi
tutto nella sua vita. Sposata con un marito emigrato in
America a cercar fortuna, morto ammazzato in quelle
terre lontane e derubato di quelle poche lire che
mensilmente riusciva a risparmiare e a mandare a casa
alla sua donna lontana. Rimasta sola la nonna si è preso
un bimbo all'orfanotrofio e non avendo soldi a
sufficienza non potette neanche dargli il suo cognome.
Dovete sapere che allora c'era la ROTA ( ruota ) dove i
figli indesiderati appena nati, venivano depositati e
dall'altra parte , mani pietose, girando questo attrezzo
raccoglievano il neonato, dandogli un nome e un cognome
e cercando di insegnargli un mestiere lo inserivano nel
mondo di allora, ad accoglierlo era solitamente una
famiglia contadina che lo adottava per utilizzarlo nel
lavori dei campi. Questo ragazzo, mio padre, le da una
mano nel lavoro dei campi e nell'accudire gli animali
domestici. Questo succedeva prima della Seconda Guerra
Mondiale che se lo porterà via per diverso tempo
dall'età di 18 anni fino al 1946, quando incontra mamma
Gina e la sposa, andando ad abitarsene con lei per conto
suo in un podere a mezzadria alla Madonna della Vittoria.
In quel periodo tutto era diverso da oggi, si viveva in
case attaccate le une alle altre, per risparmiare un
muro, con gli ingressi che davano su terrazze e con
attaccate a casa la stalla degli animali e l'aia davanti
dove si svolgevano le attività della masseria. Tutto
aveva un sapore diverso, grande era anche la stima verso
le autorità del paese. Il medico (Pichiecchio, dentista..
) era considerato un vero missionario. Molte volte, per
arrivare a visitare certi pazienti ( sopratutto durante
l'influenza "Asiatica" che mise a letto 4 persone su
cinque con febbri altissime, curate a suon di
penicelline... ) doveva fare ore di strada a piedi o in
groppa a qualche mulo, e nei mesi invernali, quando la
neve scendeva abbondante, la cosa si faceva veramente
drammatica. I contadini allora non avevano la Mutua, e
si dovevano arrangiarsi come potevano. Molte volte per
le prestazioni ricevute dovevamo pagare in natura, dando
qualche uovo o qualche pollo. Molto in uso erano allora
le cure con le erbe naturali, malva, genziana,salvia. Il
prete non era solo il curatore d'anime ma anche un
benefattore. Frequenti erano i contatti fra sacerdote e |
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popolazione e non solo dentro la chiesa ma anche nelle
abitazioni. La canonica era un vero rifugio, aperto a tutti,
giovani, vecchi, bambini, una sede dove i ragazzi potevano
giocare e studiare. Non era una novità vedere il prete
giocare a carte con gli anziani in qualche cantinotta del
posto. Era l'unico svago nei giorni di festa per gli
abitanti del quartiere, i quali si riunivano nell'osteria
per giocare a tresette, scopa o
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briscola. Solo
nelle grandi occasioni festive erano tutti quanti a scendere in
strada per riunirsi in piazza, ch3e quasi sempre era davanti ad una
chiesa. Così la piazza si animava
diventando per il
quartiere fulcro di vita nei momenti di maggiore
spensieratezza. Il maestro di scuola ( Della Penna ) non
era solo l'insegnante dello scibile umano, ma era anche
il confidente, l'educatore severo di noi ragazzi. Quando
qualcuno di noi si comportava male sia dentro che fuori
la scuola, allora, arrivavano i castighi e anche qualche
scapaccione, e nessuno dei genitori si sognava di andare
a reclamare, anzi, poi a casa ci aumentavano la dose. Le
notizie si raccoglievano dal barbiere, quando gli uomini
andavano a farsi, una volta alla settimana, barba e
capelli, o alle fontane, dove le mamme andavano a lavare
i panni o a lucidare secchi e pentole di rame. Mi
ricordo che il denaro era molto scarso e molte volte per
fare certe compere si doveva aspettare una intera annata,
quando i contadini vendevano il maiale o a san Martino,
quando prendevano i primi acconti sull'uva venduta.
soldi pochi perchè venivano in campagna degli scaltri
commercianti, quelli che acquistavano questi prodotti, i
quali tiravano ( si fa per dire ) il collo ai poveri
contadini, che non erano ancora ben organizzati nel
commercio. Certo erano anni duri, con tanta miseria e
tanto lavoro, per la nostra famiglia, però certi valori
umani e morali, erano senza dubbio superiori a quelli
attuali.
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Con l'estate in
tutte le case della mia città iniziavano i preparativi per
fare “le butteje de pummadore”. Penso che tutti sappiate di
cosa si parli. “Fare le bottiglie” più semplicemente
equivaleva a preparare la conserva di pomodoro e questo
procedimento aveva delle regole precise. Intorno al mese di
agosto iniziavano a passare per strada tanti carretti e
tutti ricolmi dei frutti rossi che questa terra d'Abruzzo sa
regalare alla sua gente. A gran voce e con slogan diversi,
divertenti e squillanti, il contadino propagandava il suo
prodotto; metteva in mostra quella merce che presto sarebbe
diventata polpa essenziale e sugo saporito per condire la
pasta per tutto l'inverno. |
Mio
Padre
Su
un suo documento di lavoro si leggeva: manovale. Per
quarant'anni lo fece, in ogni dove per tirare su la sua
famiglia, e non aveva mai voglia di parlare, così di lui,
noi figli, sapemmo poco. Era comunista e forse pieno di
risentimento. Ultimamente era anche "allegro", forse
merito del vino che a cinquantasei anni non reggeva più
come in gioventù. Forse fu questa effimera allegria la
causa della "sua volata in cielo".....
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