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Un pò di storia - Il mio primo anno a Brugherio

Correva l'anno 1966 e io arrivai a Brugherio nel mese di settembre verso il 24, a un mese esatto dall'esame di stato. Ero pieno di entusiasmo e fiducioso sul futuro che mi aspettava. Per la prima volta in una grande metropoli e per la prima volta, a dovermi arrangiare, da solo. Questo era il mio vero esame di maturità.

 

Il treno che mi portava a Milano, partito dalla stazione di Pescara, quella vecchia, dove oggi c'è l'area di risulta col grosso parcheggio, arrivò in perfetto orario. Erano le 18 e trenta del 24 di settembre. Ad aspettarmi c'era lo zio Giustino che appena mi vide, dopo avermi salutato, mi disse che dovevamo sbrigarci perchè il trenino partiva alle 19 e quindici e che per arrivare alla fermata si doveva fare un bel pò di strada a piedi con in spalla la valigia. Fuori, me lo ricordo ancora oggi a distanza di 43 anni, c'era una nebbia che si "tagliava col coltello" che rendeva tutto bianco lattiginoso coprendo ogni cosa, tanto che ci si rendeva conto di arrivare ad un semaforo solo quando c'eri sotto. Le poche macchine che circolavano dovevano fare una fatica "bestia" per orientarsi, ma tant'è che lo facevano perchè i milanesi erano abbastanza abituati, vista anche la velocità con cui lo facevano. Arrivammo alla fermata in anticipo e il trenino ( erano una decina di carrozze di colore giallo che formavano il cosiddetto trenino ) partendo da Piazza Aspromonte arrivava fino a Vimercate, attraversando Cologno Monzese e Brugherio era già fermo lì ad aspettare i passeggeri. Comperammo 2 biglietti e in silenzio ci mettemmo a sedere. Il percorso durò circa 40 minuti e arrivammo a Brugherio, quì la nebbia era un pò meno fitta e si riconoscevano le sagome dei palazzi. Dalla fermata a casa dello zio, in Via Santa Caterina ci mettemmo una quindicina di minuti. Arrivammo a casa dello zio e mi impressionò subito le camere, erano delle case popolari, allora dette a riscatto, di una grandezza mai vista, oggi ci avrebbero fatto per ognuna un bilocale. Salutai i parenti e andai a dormire subito perchè tanta era la stanchezza che mi svegliai la mattina dopo, sabato alle 10. Lo zio mi disse che dovevo andare con lui a comperarmi una bicicletta, che sarebbe diventata per un anno l'unico mio mezzo di locomozione, per spostarmi e recarmi ogni mattina al lavoro, lontano o vicino che esso fosse stato. La trovammo, usata, da un suo conoscente che me la vendette a 5 mila lire, una Atala color azzurro senza cambio in buonissimo stato, cercai di trattare ma il venditore fu irremovibile e dovetti al fin capitolare. Con questa, insieme a mio zio, ottimo pedalatore, incominciai la perlustrazione del circondario, stando attento come mi fu detto, a non rimanere intrappolato con la ruota davanti nei binari del tram. Arrivammo a Monza e fu quella la prima volta che attraversai in bici, la centralissima via Italia, trafficatissima di gente che era lì per fare le compere dei fine settimana nei coloratissimi e illuminatissimi negozi. Stanco, non ero molto allenato con la bici, a Chieti a causa delle salite, la si usa poco e siccome le distanze sono relativamente brevi, si andava spesso a piedi, e dopo cena andai subito a letto. Il lunedì successivo incominciai il giro delle fabbriche, chiedendo nelle portinerie se ci fosse stata la possibilità di entrare a lavorare da loro. Il primo giorno ne feci una decina, mi ricordo di essere stato all'Epi (ex Pirelli) a San Damiano, alla Manuli a Cologno Monzese e alla Mebel a San Cristoforo. Si sarebbero fatti sentire loro in settimana. Allora non c'erano i telefoninei e questo voleva dire che sarei dovuto ripassare e chiedere. Alla Mebel lavorava una mia zia, la moglie del terzo fratello di mamma, zio Quirino, in qualità di operaia specializzata nello stampaggio di materie plastiche. Andai da lei la

sera stessa per vedere se poteva metterci una buona parola con il proprietario di allora, il sig. Dettoni. Siccome lo zio Giustino non mi avrebbe potuto ospitare, neanche a pagamento, in casa sua, ma accordai con la zia Adelia sull'affitto di una camera a trentamila lire al mese più un pranzo o una cena al giorno e il lavaggio della biancheria intima e della tuta bianca che mi avrebbero dato da indossare sul lavoro. Si come avrete capito, le trattative per l'assunzione e il prezzo (salario) furono concordati su due piedi, per la modesta cifra di 60 mila lire al mese... ma con qualche ora di straordinario avrei potuto incrementare la pecunia percepita. Fui messo a fare le "pastiglie" nei pressi di una compressatrice che mangiava quintali di polvere Melaminica della Carlo Erba per tirarne fuori dei posacenere, dei vassoi o dei piatti di plastica. Le compresse facevano risparmiare tempo alle donne che erano addette alle macchine stampatrici, nella pesatura della polvere ( quella che non respiravano loro, me la cuccavo tutta io ) questa poi veniva messa negli appositi stampi delle macchine pressa per ottenere a caldo il pezzo semilavorato. Questo andava poi munito di disegno o scritta e infine  sgrossato con delle smerigliatrici a mano. C'era un capo reparto che organizzava il lavoro assegnando le macchine al mattino con la produzione e la percentuale di scarti massimo da fare. Era prodigo di consigli, tutti finalizzati alla produzione di un certo numero di pezzi senza troppi scarti. Siccome stiamo parlando di resine termo indurenti, gli scarti andavano distrutti bruciandoli in un forno con un lungo camino e i fumi venivano dispersi nell'atmosfera per la gioia di quelli che abitavano dei dintorni. Questo era il lavoro che facevo io in straordinario e la mattina, credetemi, il fumo era ancora presente nell'aria e tutt'intorno finchè non si sollevava qualche alito di vento a spazzarlo via. I verdi erano ancora da "inventare" e i sistemi di sicurezza per proteggere la salute degli individui era tutta da "pensare". Mi basta solo dirvi che dopo un pò le papille della lingua si "plastficavano" anch'esse e tu non riuscivi più ad apprezzare i sapori. Si tirava avanti, tanto mi dicevo è solo per un anno e poi fatto il militare potrò cercarmi un lavoro più serio. Lavoravo circa 10 o 12 ore al giorno e il mio tempo libero era solo di domenica. Sul lavoro e nei posti che frequentavo (quando facevo dalle 6 alle 14 e non avevo straordinario), solitamente il bar della fermata del trenino sulla via Lombardia, il bar del Popolo con annessa discoteca o il bar dell'unico cinema (l'altro era il San Giuseppe ed era quello dell'oratorio), quello in Via Santa Caterina con annesso piscina e campi da tennis, mi ero fatto un bel numero di amici (conoscenti con gli stessi gusti) e tra questi c'erano Renzo ( figlio di abruzzesi che lavorava con me alla Mebel) e Giuseppe, un napoletano che non ho mai saputo cosa facesse in Lombardia ( o meglio lo sospettavo ma non ho mai avuto modo e voglia di discuterne con lui, qualche volta faceva anche il "puttano", facendosi pagare le prestazioni dalle signore più anziane di lui, 20 mila lire). Lui solitamente bazzicava a Monza, vicino al Motta dove

 

                                                                          

Io&Giuseppe

"lavorava" si fa per  dire. Una volta mi ha portato sul suo "territorio di caccia", ma io ho battuto in ritirata miseramente, perchè per fare quel "mestiere" ci voleva molto pelo sullo stomaco e tanto menefreghismo. Lui non si faceva "scuorno" e andava avanti per la sua strada fregandosene delle donnette con le calze di njlon rattoppate che pur di "averlo" risparmiavano sulla spesa e sulla parrucchiera e lo ingaggiavano a "peso". Lui come me era un diplomato, era ragioniere, e aspettando un posto dalle sue "parti" si "dava". Lui era, a parte il suo lavoro, una persona "istruita" con cui si poteva parlare di tutto ed era un ottimo compagno sopratutto quando si facevano le puntatine a Milano. Conosceva tutti i posti e sapeva come arrivarci tranquillamente a piedi. Grazie a lui, nel 1968, ho conosciuto ogni angolo della città o almeno i più interessanti. Si  partiva da Piazza Aspromonte, il capolinea del trenino

Io $ i piccioni

 giallo e facendoci tutto Corso Buonos Aires a piedi da Piazzale Loreto, Porta Venezia si arrivava al Duomo. Qui si sostava con i numerosi turisti e qualche volta ci si faceva fotografare in mezzo ai piccioni che popolano la piazza omonima. Siamo anche stati sopra la cattedrale, non prendendo l'ascensore, ma salendo le tremende e anguste scalette fin sul suo tetto. Da li si riusciva da ammirare tutta la piazza ed a gustarsi la città dall'alto. Si facevano lunghe visite alla Rinascente o ai negozi sotto la Galleria Vittorio Emanuele. Poi il pomeriggio si arrivava al Castello Sforzesco e quì c'era da sbizzarrisi o si visitava le varie stanze con le esposizioni o si stava sul prato circostante il castello a riposare a "stozzare" un panino che ci si era portati da casa o a fare la corte alle ragazzine che pullulavano l'area numerose, sopratutto in primavera e in estate. Io mi impratichivo sul come arrivare in quei posti per poi ritornarci o da solo o portandoci i miei familiari una volta che fossero venuti su a trovarmi. Comunque le gite non le facevamo solo in città, spesso si andava in Svizzera col treno, dopo essersi fermati a Como a prendere il sole sul lago omonimo la prima metà della 

giornata. Il pomeriggio, dopo aver mangiato il solito panino e fatta una bella bevuta alla fontanella si riprendeva il treno per arrivare a Lugamo per comperarci le "sigarette" o il cioccolato che costava parecchio di meno che qui in Italia. Si era, fin d'allora, instaurato un via vai tra Italia e Svizzera, tale che la gente ne approfittava anche per fare benzina oltre che rifornirsi dei beni voluttuari soliti e qualche volta si rimaneva anche per a vedere qualche bel film. Raramente si andava in treno, spesso ci portava un "siculo" , Cuzzumbo, piastrellista tuttofare, con moglie e prole, e possessore di una fiammante 124 Fiat che ci caricava, dividendo le spese e che poi si fermava insieme a noi quando ci appartavamo con una di "quelle". Lui mi confidava che sperava sempre di andare un giorno con una svizzera, ma veniva sempre disilluso dalla parlata delle "signorine poco vestite" e una volta ha trovato anche una sua paesana. I giorni passavano tra lavoro e divagazioni fino a quando il 2 di ottobre 1967 sono partito, destinazione Roma, caserma Albanese Ruffo, per fare il militare, 15 mesi come Bersagliere.

 

 

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