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Il duro del quartiere Baraggia

Arturo detto "il Duro" era qualcosa di simile al Cerutti Gino reso celebre dalla ballata di Giorgio Gaber tanti anni fa. Una edizione cresciuta dello stesso. Passava i suoi giorni al Bar Sport, in quel di Brugherio alla fermata del trenino, pelando a Scala Quaranta sprovveduti frequentatori saltuari e non disdegnava di ricettare piccole cose, mangianastri, orologi, penne dorate, cartoni di liquori, sottratti da piccolissimi balordi, nei magazzini dei corrieri. Si intendeva di elettronica, avendo fatto apprendistato per più di due anni presso un tele riparatore. In seguito ovviamente aveva deciso di essere troppo dritto per un umile lavoro del genere. Non poteva egli forse dar dieci punti di vantaggio a Goriziana a tutti gli altri sfaccendati del quartiere che capitavano allo Sport per poi stracciarli facilmente? Non era quello capace di sottrarre due matte nel mazzo da ramino di 52 carte, mescolandole sapientemente? Non era colui che una notte di capodanno aveva bevuto una intera bottiglia di vermouth così a collo, vincendo 50.0OO lire di scommessa, e rimanendo in coma solamente due giorni all'ospedale? Non vantava centinaia di donne vampirate, soggiogate, ridotte ai suoi piedi, anche nei quartieri vicini? Non aveva rotto il naso a "Roia" quello degli "Umiliati" dal coltello facile? Quando si è così bravi e dritti, non si è destinati al lento lavoro artigiano, lui pensava, ma alle più grandi mete che la vita offre. Come ad un analogo di Paul Newman in "Lassù qualcuno mi ama" con un po del Frank Sinatra ne "L'Uomo dal braccio d'oro" o chissà, magari Marlon Brando nel "Selvaggio", passava così tutto tronfio nel nebbioso quartiere di Baraggia, padrone delle tenebre e iettante spocchia, incerto se darsi in futuro alla protezione violenta del mestiere più antico del mondo o al traffico dei preziosi rubati. Era bello (per sé) Arturo il Duro. Pieno di muscoli in eccesso, caracollava in gennaio con la camicia aperta sul petto villosissimo (ogni mattina se lo massaggiava con una bella manciata di lozione Panten). Lo sguardo duro come acciaio al vanadio, l'aria mafiosa, il passo dondolante negli stivaletti. Talvolta amava fumare in autobus, raggelando il fattorino con una occhiata tipo bazooka, ecco appunto, l'autobus lo prendeva apposta quando voleva farsi in pace un sigarillo, visto che nutriva una passione sperticata per la sua macchina, prudenzialmente intestata ad un defunto, assicurata con frode come una utilitaria, munita di "Una tantum" contraffatta (il vero versamento di £ 1.000 era stato diretto ad un inconsapevole Ente Benefico, poi con la scolorina tutto era stato aggiustato). Tale macchina era una Alfa Romeo Coupè 1750, tenuta in maniera





 

principesca. Ruote a basso profilo, larghissime, tipo Dragster, scarico cromato, oltre ad essere privo di silenziatore, testata sbassata: schermo a lamine gialle per la coppa dell'olio evidentissimo. Fari allo iodio, tantissimi. La carrozzeria di un rosso da pompiere sempre lucida, un paio di slip femminili emblematicamente distesi sul lunotto, neri, e sopratutto striscioni. Striscioni, striscioni a non finire. Dal numero da corsa tipo Le Mans alla bandiera a scacchi: dall'adesivo Rally di Montecarlo a quello di Daytona, alla striscia SUPERSPORT in basso, sotto agli sportelli. Biscioni si intrecciavano sul cofano. L'Alfa era il vero amore di Arturo il Duro, che la carezzava, la leccava tutta e riteneva soprattutto molto onorevole passare con questa sotto il naso dei vigili a 150 all'ora, nella periferia, prima che i Ciùla avessero ricevuto in dotazione il "Multanova". Ecco il "Multanova" era divenuto il tormentone di Arturo' quell'accidente di radar gli impediva di scorazzare nella periferia di suo dominio a 6.000 giri in terza per far più rumore possibile, porgendo il suo "biglietto da visita acustico" per quartieri, alle meretrici ed alle cretinette che talvolta lo attendevano al balcone per vederlo passare. Il radar era una vera e propria nemesi. Lo lacerava. Da qualche tempo infatti l'Arturo appariva un pò sbiadito, vagamente preoccupato; qualcuno pensò che si fosse dato al fumo della canapa, invece il nostro aveva un solo pensiero: come poter imbrogliare i maledetti "fratelli" Ciùla con il loro misuratore di velocità. Un tizio, sedicente tecnico, gli aveva suggerito di montare le ruote a raggi che avrebbero disturbato l'effetto Doppler ed una bandierina sull'antenna dell'autoradio formata da mazzi di stagnole ritagliate in dipoli risuonanti. Il solo risultato, per Arturo, una multa da cinquanta mila lire alla prima trappola radar. I Ciùla erano stati anche indifferenti, se non pietosi, visto che l'Arturo di pietà non ne meritava proprio. Si erano limitati a stendere il verbale, a veder svogliatamente i documenti della 1750 e forse avevano apprezzato che il Duro avesse sfilato un biglietto da 50.O0O da un mazzetto di banconote variopinte, anche estere, di grosso taglio. Senza scuse, senza commenti, così, con sprezzo. Come dire "vi ho pagati!" Il "consigliere-sedicente-tecnico" era poi stato raccolto il dì di poi, steso al limite di una roggia, nella più cupa e nebbiosa periferia, pestato di brutto: 30 giorni di prognosi. Naturalmente non aveva detto di chi fosse opera il pestaggio. "Questione di donne"... aveva sospirato in barella. Dopo questo episodio, l'Arturo aveva tappezzato il lunotto dell'auto di griglie metalliche rettangolari ed aveva persino montato un ripetitore di flash alla targa posteriore. In tal modo la sua sigla non poteva essere rilevata, visto che al lampo della macchina fotografica del Multanova rispondeva quello del ripetitore che bloccava la macchina fotografica incorporata abbagliandola, quando passava di notte rombando come un quadrimotore presso una pattuglia della stradale. Ciò andava bene una volta calate le ombre della sera sul Lambro, ma Arturo si rodeva nel pensiero di come poter neutralizzare l'aggeggio nelle ore pomeridiane (al mattino la questione non si poneva,in quanto Il Duro non si alzava mai prima della una). Anche i vigili, o come li chiamava lui, "i Ciùla" si erano accorti dell'Arturo, della sua frenesia di farla franca. Se lo segnalavano, sapevano i suoi itinerari, le ore "obbligate". Lo attendevano al varco. Avvenne così che incredibilmente il "Duro" iniziò a



 

disertare la sala da biliardo. Si mise a studiare certi suoi vecchi libri di elettronica, invece di passare il gessetto sulla stecca, smazzare, ricettare, fare il bullo in giro tra Milano Brugherio e Monza. Non era da Arturo rifiutare una sfida, quale che essa fosse. Sentendo qui e là, almanaccando, congetturando, venne ad una conclusione. A parer suo, l'unico sistema per neutralizzare il Multanova di giorno, poteva essere solo l'impiego di un oscillatore funzionante a 7 GHz diretto sulla portante. Il segnale secondario non poteva non far impazzire il radar. Così fece rubare da un amico una cavità munita di diodo Gunn per 7.000 MHz presso una mostra di apparati per microonde. Lo compensò con una mancia che valeva perfettamente la fattura di un acquisto regolare, ma era un tipo fatto così il Duro. Forse cretino, ma duro fino in fondo. Munito di trapano, lime, arnesi vari installò "l'antiradar" sotto al paraurti plastificato dell'Alfa dall'aria terribile, e si apprestò al confronto delle ore 13, allorché virilmente faceva colazione con un doppio brandy e salatini al caffè al bar del Popolo nella piazza di Brugherio. Sapeva che i "Ciùla" lo aspettavano con ansia all'angolo di via Dante, ma lui non vedeva l'ora di sfidarli sul loro terreno. Ragionava press'a poco così: "Se l'apparecchio lavora in Doppler, io gli mando dentro un gran segnale di pari frequenza, direttivo. In tal modo saturo il loro ricevitore; niente Doppler e segnalazione pazza. Pazza quindi non probante. Priva di ogni significato. Finalmente gli tiro la stangata, a quei maledetti! Impareranno CHI è l'Arturo; anche un tecnico quando serve; altro che Rififi!". Sebbene fosse inverno fitto con la neve, la mattina prescelta per la prova aveva una certa aria da "Mezzogiorno di fuoco". Da un lato l'Arturo scaldava il motore della 1750 truccata con furiosi colpi di acceleratore. Dall'altra i vigili calibravano il loro radar Multanova con il diapason attendendo che funzionasse. Infatti, come un lampo rosso l'Arturo passò. Di colpo, traguardando la coda dell'Alfa, il radar impazzì puntualmente come previsto dal "Duro". L'ndice



 

dello strumento sbattè contro il perno a destra, a fondo scala, registrando così una velocità inconcepibile, immateriale, fantascientifica, incredibile. OLTRE TRECENTO CHILOMETRI ALL'ORA!! Strillarono centomila fischietti al chè l'Arturo si fermò docile con il sorriso strafottente ed impunito, scese dall'automobile-mostro lentamente e con mosse studiate,"srotolandosi", come fa un puma finalmente libero, insomma,  come il Boss che credeva di essere. "Bene, bene, lei correva a trecento chilometri all'ora eh? Patente e libretto" intimò il brigadiere. Raccolse i bisunti fascicoli scorrendoli con spaventosa attenzione. Il "Duro" era certo di se e replicò: "Nessuno può fare i trecento in quella curva, nemmeno Lauda con la mia Alfa, che non faccio per dire... " Il vigile lo guardò dall'alto in basso. "II nostro radar segnala 300 chilometri all'ora" affermò. Quindi lei con la sua macchina li faceva e come. Bel colpo in pieno abitato ed in curva per giunta" aggiunse crudelmente. Pareva l'impersonificazione della legge, tipo dura Lex sed Dura Lex. L'orologio della chiesa suono le 13 in quel momento e scandì la drammaticità della situazione. Una serie di 13 battiti cupi e minacciosi. L'Arturo iniziò a sentir puzza di strino". "Ma io... " pigolò, "Ma io non ... ". "Lei niente" sentenziò il brigadiere. "II nostro apparecchio non sbaglia mai. Lo usano anche alle Olimpiadi per cronometrare i tempi. Lei andava a 300 nell'abitato!!". Nel silenzio, il radiatore dell'Alfa crocchiò come in forma di testimonianza. Il Duro cercò invano una scappatoia "Sa io, per scherzare" ciangottò, "Avevo montato in macchina un disturbatore del segnale radar... " Sospirò. "Eccolo lì", fece, indicando il paraurti. "Ah bene" ribattè il brigadiere granitico e tremendo, dando di piglio alla penna ed iniziando a scrivere il verbale. "Allora diciamo: 300 chilometri all'ora nell'abitato, più disturbi ad un pubblico servizio, con mezzo elettronico trasmittente non autorizzato... " "Ma una cosa esclude l'altra" pigolò l'ormai timidissimo Arturo. "Lei mi vuole incastrare, ecco com'è la storia!" "Faccia vedere il contrassegno dell'assicurazione" ordinò decisamente il graduato," ed anche la ricevuta dell'Una Tantum". Arturo sentì il freddo dell'inverno nelle ossa, un gelo inaudito. Lo ammanettarono. Lo portarono a meditare al terzo raggio di San Vittore. Lo processeranno in giugno, se tutto va bene. Non aveva più voglia di giocare con l'elettronica. Gli altri detenuti lo chiamarono "Marconi". L'Alfa venne venduta all'asta. La comprò un agricoltore che amava frequentare le balere della sua zona per far colpo sulle gnocche...

 

 

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arturo il duro