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Papà  Nicola

Correva l'anno 1920 e il mio papà veniva al mondo. Abbandonato appena nato dalla sua mamma, collocato da qualche mano pietosa nella Rota

Nicola, il mio babbo

 

 

 

 

 

 

 

...Verso le ore due della notte scorsa, il Custode dei Trovatelli, Pettinari sentì sonare il campanello della Rota in contrada Sant'Anna, al civico n. 7 e, aprendo lo sportello della suddetta Rota, ritrovò un infante di sesso maschile, involto in una copertella di lana di un colore verdone, tutta lacera e con una copertella di panno bianco anch'esso  lacero, senza alcun segno; il quale fu posto da ignota persona che non potè vedere perché sparita prima che egli si affacciasse alla porta. Toltolo dalla Rota, dopo le ore otto della matina lo recò a batezzare nella Parrochia di Sant'Anna, dalla quale fu posto il nome di Nicola Solino. Dopo di che, non essendo altro da aggiungere, è stato chiuso il processo verbale firmato dal Custode dei Trovatelli Pettinari Domenico”...questo è quanto segnalava forse il verbale redatto minuziosamente dal ritrovante che annotava in maniera meticolosa ogni piccolo particolare   Alla base di un  gesto così terribile e doloroso ci sono da un lato la vergogna più profonda e la miseria più nera, dall'altro la speranza in un futuro migliore, senza più dolore e disonore.

 

Ma spessissimo quello che aspetta il piccolo nato era solo la morte, che spesso avveniva appena dopo il suo abbandono. Comunque sia, l'addetto preposto alla accettazione degli esposti procedeva ad annotare, con precisione su un libro, il giorno, l'ora, gli oggetti trovati, ad assegnare un nome e un cognome, qualora non ne avesse già uno proprio segnalato tra gli effetti personali; per ultimo in alcuni brefotrofi si tatuava il bambino con il simbolo della istituzione ospedaliera che lo stava accogliendo. Quindi il bambino si ritrovava sì con un nome e un cognome (Esposto, Innocenti, Diotallevi, Della Scala, Colombo), ma anche con un marchio indelebile pesante come un macigno. Paradossalmente la storia dell'infanzia abbandonata ci è nota in modo più dettagliato e preciso di quanto non lo sia stata una sola delle esistenze dei bambini nati e vissuti nella propria famiglia. Non erano solo i figli della colpa ad ingrossare le file degli esposti, i figli cioè delle ragazze madri che, bollate ormai a vita, erano praticamente nella impossibilità di garantire la sopravvivenza loro e del proprio figlio, ma anche figli legittimi di coppie regolarmente sposate, abbandonati, anche grandicelli, in concomitanza di gravi congiunture economiche o sociali, come carestie, guerre, epidemie e malattie, sacrificati perché erano bocche da sfamare in più a cui non si poteva dare altro che lacrime. Rimaneva spesso però la speranza di un finale a lieto fine.

 

 

 

 

 

 

 

 

Da qui Nicola uscirà grandicello per approdare in casa di nonna Leontina che lo alleverà come se fosse stato il suo vero figlio. La nonna abitava in contrada Madonna della Vittoria da sola in quanto suo marito, emigrato in America a cercar fortuna, fattala, venne ucciso e derubato, sulla nave che lo riportava a casa. La nonna rimasta vedova e sola prendeva in affido il mio papà per farsi aiutare nei mestieri che la campagna richiedeva giornalmente. Mio padre arava e coltivava la terra dei suoi genitori adottivi e allevava gli animali. All'età di 17 anni parte volontario per il militare, convinto di poter mangiare tre volte al giorno, dato che a casa sua, nonostante l'intenso lavoro, questo molte volte non era possibile. Nel frattempo scoppia la Seconda Guerra Mondiale e lui viene trattenuto sotto le armi e mandato al fronte. 

 

Si fa tutta la campagna di Grecia e poi viene mandato in Africa in appoggio alle truppe di Rommel. Ritornerà a casa, vivo e integro alla fine della guerra nel 1945. Si fidanzerà con mia madre Gina e deciderà, di lì a poco, di sposarsi l'anno seguente e di andare ad abitare, come mezzadro nella campagna di Don Camillo il Gommista, alla Madonna della Vittoria, coltivando due ettari di terreno. Ben presto il lavoro dei campi non è più sufficiente ad assicurare una vita, seppur modesta alla sua famiglia che nel frattempo, il 24 di novembre del 1947, si era ingrandita per l'arrivo del loro primogenito Enio. Andrà, in aggiunta al lavoro dei campi, a lavorare ala fornace a Chieti Scalo e si ingegnerà per parecchio tempo nella produzione e nella cottura dei mattoni, utilizzati allora nella costruzione delle case coloniche. Carattere estroverso e sempre portato a migliorare la sua situazione socio economica diventerà un ottimo muratore, specializzandosi in piastrellature di bagni e cucine. Finirà la sua carriera lavorativa, e la sua vita a 56 anni, in maniera traumatica. Muore in seguito ai gravi danni riportati, cadendo da una impalcatura, in Madonna della Misericordia, nella ristrutturazione di una piccola casa colonica lasciando sua moglie Gina il figlio Luciano, che abitava presso di loro, il figlio Enio che era emigrato per lavoro a Milano e la figlia Diana che sposatasi abitava con suo marito Giancarlo a Pescara.

 

Alcune foto di mio padre durante il periodo militare

 

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