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IL CIRCO

 

 

Avevo circa dodici anni e una mente piena di fantasie. Ora posso affermare che erano fantasie, allora pensavo fossero tutti sogni realizzabili. Mio padre mi portava al circo , lassù, negli ultimi posti, lontani dal centro delle esibizioni, si pagava poco e si poteva sognare quasi indisturbati. A parte il grande amore per gli animali che permane nel tempo, ero attratta dal numero dei trapezisti. Mi piacevano gli abiti scintillanti, le evoluzioni in aria. Sospesi al filo invisibile della mia fantasia li credevo creature speciali, appartenenti al mondo celeste, pensavo fossero angeli senz'ali, non avevo paura che cadessero, tant’era la certezza che d’umano non avessero niente. Quando scendevano a terra, aspettavo che da un momento all’altro scomparissero come per magia. Loro alzavano i mantelli purpurei, s’inchinavano con grazia, ringraziavano per gli applausi, sparivano dietro un tendone, per me, gran fonte di mistero. Di solito, dopo i principi dell’aria, arrivavano i pagliacci, artisti vestiti in modo buffo, ora capisco, per distendere la tensione che i trapezisti avevano creato. Le loro esibizioni mi rattristavano, li vedevo poveri, quasi degli accattoni che mendicano un sorriso. Non mi sono mai divertita, non ho mai riso, non vedevo l’ora che il loro numero finisse. La vera emozione erano i funamboli. Già allora avevo la percezione delle affinità. Io mi ritrovavo in loro. Quando arrivavano all’altro capo della corda ero infiammata, il cuore mi batteva forte e tutte le volte pensavo che anch’io sarei diventata come loro. Avrei sfidato le leggi di natura, avrei provato e riprovato fino a riuscirci. In effetti, così è stato. Ho percorso la mia vita su una corda, sono caduta, mi sono rialzata per cadere ancora. Solo adesso ho capito dove spostare il peso del corpo, solo adesso che il tempo ha indebolito le mie gambe, la mia volontà e stremato il mio essere. Uscivamo dopo lo spettacolo, mio padre ed io, andavamo al bar, tappa obbligatoria per lui, mangiavo qualche dolce e sognavo, ancora immersa nell’atmosfera circense. La mia mente proiettava immagini inaudite: io, vestita di rosso lucente, sospesa in aria, oppure uscivo da un cubo magico vestita d’azzurro intenso e ballavo in punta di piedi vicino ad un cavaliere biondo che mi abbracciava, mi sollevava, la gonna roteava ed io ero bellissima, bravissima, tutto il pubblico applaudiva ed io ero la ragazzina più felice del mondo. A quel punto c’era il brusco risveglio. Mio padre, col suo vocione inconfondibile, diceva che era ora di tornare a casa, mia madre ci aspettava. Era come uno schiaffo ricevuto di sorpresa. Ritornavo lentamente alla realtà. Rimaneva ugualmente dentro di me la voglia di scappare, non sapevo bene da chi o da che cosa, volevo andarmene sui carrozzoni con la gente del circo, volevo vedere il mondo, conoscere nuove città, diventare una funambola, la miglior funambola. Tutto finiva quando arrivavamo a casa. Vedevo il volto di mia madre sempre mesto, assorto in pensieri di sopravvivenza, l’amavo tanto, non l’avrei mai lasciata. I miei sogni, la voglia di realizzarli non è mai andata oltre la mia mente.

 

 

 

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