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Le case di Tolleranza a Chieti i Casini

Anno Domini 1947, arrivo al mondo in una notte di novembre, a Chieti, il giorno 24, mia madre mi partorisce in casa.

Le Case Di Tolleranza

Le case di tolleranza a Chieti erano due: una a Porta Pescara all'angolo con Via dei Calderai, tenuta da Enrica e frequentata dai militari e dal volgo; l'altra in Via dei Crociferi gestita da Gina e bazzicata dai benestanti. Lo Stato imponeva controlli medici e accertamenti igienico-sanitari periodici. La loro chiusura fu decretata dalla Legge Merlin nel 1954. L'arredamento della casa di Enrica palesava un certo stato di degrado: la grande stanza di ricevimento aveva le pareti disadorne color celeste pastello e il soffitto bianco. Una fila di panche di legno correva lungo tutto il perimetro della stanza. Nelle camere: un letto a una piazza e mezza coperto da una coltre di lanaccia grigia e dura che avvolgeva il cuscino col risvolto, un piccolo tavolino, e il piede col baccile e la brocca sottostante. Più sofisticati e lascivi il mobilio e i finimenti del lupanare di Gina: nel salotto comune, dalle mura rivestite di tessuto damascato, facevano bella mostra di sé quattro divani di velluto rosso cardinale e pesanti tendaggi verde smeraldo. Da qui, attraverso una porta a due ante che venivano chiuse allorquando arrivava il signorotto di turno o il professionista di grido, si accedeva a un piccolo vestibolo: si trattava di un ingresso diretto alle camere, riservato alle persone che esigevano estrema riservatezza. Le alcove si trovavano al piano superiore e vi si arrivava da una scala molto stretta. 

 

 

Nel  postribolo di Gina si pagava anche l'ingresso: dieci lire; un balzello fisso che esulava dalla prestazione dell'amor profano   goduto. Il piacere della passione mercenaria costava venti/venticinque lire: il prezzo corrispondeva alla famigerata "marchetta", una piastra di rame bucata al centro e infilata in un chiodo che le due tenutrici ostentavano sul tavolino del salone. Quanto più la "cocotte" era richiesta, tanto più il suo chiodo traboccava di piastre. Ma a lei andava solo una piccola percentuale del guadagno. Le meretrici mangiavano e dormivano nella stessa casa e ogni quindici giorni cambiavano città. Erano tutte giovanissime: sofisticate e talvolta istruite le puttane di Gina, popolane e semplici quelle di Enrica. Qualcuna si era dedicata all'arte dell'amore per poter sopravvivere, qualche altra lo faceva nella 
 

speranza di contrarre un matrimonio importante. Molte venivano dall'Emilia Romagna: tutte col sangue caliente, piuttosto sboccate e massicce di corporatura. Una di loro si chiamava Franca. Era di Bologna: una donna bellissima che si prestava a tutti i tipi di relazione. Più esili e dolci nell'aspetto le istriane. C'era Lolita che veniva da Trieste: alla fine si era sposata con un cliente del bordello. Ma c'erano anche le siciliane e le romane, di quelle più sguaiate. Le due tenutrici avevano fatto la vita anche loro. Poi si erano ritirate per l'età. Enrica non era autoritaria e spesso si trovava a dover placare gli animi degli avventori più arroganti. Gina, al contrario, era una perfetta "tedesca", un personaggio che non si faceva prevaricare. Voleva molto bene a Nicola che, appena diciassettenne, varcò per la prima volta la soglia di quella casa del piacere dove conobbe i segreti dell'amore. Era il 1947. Non ero maggiorenne ma lei mi tollerò. L'uomo è un po' maialetto, e cerca sempre di trovare il godimento ma... il più delle volte frequentavo la casa di tolleranza perché c'era l'impianto di riscaldamento. Nella mia abitazione non c'erano i termosifoni, e poi lì si faceva salotto con gli amici. Così come oggi si va nei caffè, allora ci si trovava nella casa di tolleranza. Ci si stava caldi. Pagavi dieci lire di ingresso

e non dovevi consumare nulla. Oddio, c'era quella scocciatrice di Gina che ogni tanto veniva e faceva: "Giovanotti, qui non si cambia aria! In camera!" E batteva il palmo della mano sul tavolino. Poi presentava le ragazze. Qualcuno sceglieva e si rimaneva in pace per quei pochi minuti in cui non c'erano donne nella sala. Si discuteva: bastava coinvolgere anche lei nella discussione per potersi assicurare la serata! In realtà non ho mai sopportato di andare con una donna a pagamento. E' una cosa veramente orribile. Ma accade così. E un mestiere antico quanto il mondo. Non è che ci dobbiamo fare rossi. Però il fatto che, mentre sto facendo l'amore, lei mi chiede se voglio stare di più, e quindi devo pagare di più, e quindi c'è un rapporto che non è di amore, non è di niente, è una specie di tirare lo scarico del gabinetto per far uscire l'acqua, mi sembra veramente squallido. E poi la prestazione era a tempo. Era a tempo nel senso che ti dovevi spicciare. Perché più ti spicciavi più aumentava la pila delle marchette. Quando qualcuno si intratteneva di più, perché magari si era

 

 

 innamorato, mentre stava a fare l'amore arrivava il suono del campanello: Tttttrrrrrrrrrr. Era lei che richiamava la ragazza per dire: "Che stai a fare? Fa la doppia?" Perché la doppia significava due volte, però in una. E Gina la richiamava col campanello. Ogni stanza aveva un pulsante di collegamento in camera per chiudere le marchette. Sì. Il campanello! Per cui ti veniva un accidente e non facevi più niente; perché quello ti stroncava la vita, la pelle. Quanti ricordi! Fiorin Fiorello l'amore è bello l'amore è bello vicino a te. Tarapapappà. Noi giovani ci regolavamo su chi fosse la migliore dall'altezza della colonna delle marchette. A volte la più brutta aveva poche marchette. Magari era più brava delle altre. Però era brutta. E ti faceva tenerezza. Invece chi aveva il chiodo pieno si era ammazzata di lavoro. Nel 1954 c'è stata la chiusura. Pare che adesso vogliano riaprirle. Da allora le donne vanno in strada, con i fuochi dei copertoni accesi, sul Lungomare di Montesilvano e alla Pineta di Pescara. A volte ci scappa anche il morto.

 

 

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